lunedì 30 luglio 2007
L'AMP "Regno di Nettuno"
giovedì 26 luglio 2007
Dal sito de: "LaRepubblica.it"
CANADAIR PRECIPITATO: BERTOLASO, PROFONDO DOLORE
"Profondo dolore per la perdita di un validissimo professionista, che ha perso la vita mentre stava compiendo con passione tutti gli sforzi possibili per arginare le fiamme di un incendio devastante che minacciava alcune abitazioni in zona montuosa". Questo il commento del Capo del Dipartimento della Protezione Civile, Guido Bertolaso, dall'ospedale dell'Aquila, dove e' ricoverato il copilota del Canadair precipitato nel tardo pomeriggio in Abruzzo. Nell'incidente e' deceduto il Comandante del Canadair Andrea Golfera, nato a Lugo di Romagna il 15/12/1956, che era impegnato nelle operazioni di spegnimento di un vasto incendio divampato ad Acciano (AQ), mentre e' ricoverato nell'Ospedale San Salvatore a L'Aquila il copilota Daniele Rett nato a Trieste il 22/11/1979. "Grande ansia per la vita del secondo pilota Daniele, figlio d'arte - ha continuato Guido Bertolaso - attualmente nel reparto di rianimazione dell'Ospedale San Salvatore del capoluogo abruzzese". "Ringraziamo tutte le componenti del sistema nazionale della protezione civile che sono immediatamente intervenute sul posto e in particolare ai colleghi del 118 e dell'elisoccorso che hanno prestato le prime cure a Daniele. Anche domani continueremo con tutti gli uomini e i velivoli disponibili in questo difficilissimo lavoro e facciamo appello a tutti i connazionali affinche' contribuiscano a contrastare l'inconsulta e criminale azione di quelli che provocando gli incendi sono i veri responsabili dell'incidente e della scomparsa del comandante Andrea Golfera".
...Onore a questi personaggi che mettono a repentaglio la propria vita per spegnere degli incendi sempre e sottolineo sempre provocati dall'uomo (vorrei venisse chiamato bestia, altro che piromane o mafioso o delinquente....), purtroppo dal filmato che avevo realizzato il giorno prima si evidenziavano proprio due aspetti particolari di tale attività: La pericolosità, dovuta all'azione di carico dell'acqua a quelle velocità e la mancanza di collaborazione da parte delle Autorità marittime, le quali erano del tutto assenti, almeno nel caso da me documentato, mentre avrebbero dovuto interdire alla navigazione il tratto di mare dove i due velivoli si rifornivano, pensate a quanto sarebbe stato tragico un incidente occorso mentre passava sulla testa dei diportisti o, peggio ancora, di qualche nave da crociera....
lunedì 23 luglio 2007
Sabato 21 luglio 2007
lunedì 16 luglio 2007
S. Maria: il restauro di un gozzo sorrentino....
All’acquisto, effettuato nel mese di settembre 2005, la barca si presentava come nella foto di questa pagina, all’apparenza non dava nessun segno grave dovuto all’incuria o alla poca perizia dei carpentieri che negli anni si erano succeduti nella manutenzione del legname.
L’ idea era quella di trasformare la S. Maria da imbarcazione dedita alla piccola pesca dilettantistica a gozzo tipico locale da utilizzare nel piccolo cabotaggio, insomma una barca da sfruttare per passeggiare lungo le meravigliose coste della Penisola Sorrentina con “incursioni” in quel di Capri. Per poter raggiungere l’obiettivo era gioco forza provvedere alla rimozione della piccola e spartana cabina, in modo da dedicare tutta la coperta a mò di “solarium”, e per poter realizzare tale lavoro è stato obbligatorio indirizzarsi presso uno dei Cantieri di Sorrento che tradizionalmente vantano esperienza secolare nella costruzione e manutenzione dei gozzi in legno tipici del nostro territorio. La scelta è ricaduta sul Cantiere di Cataldo Aprea, uno dei pochi che ancora non hanno aperto le porte alla vetroresina e che, a detta di molti, provvedono a realizzare lavori a “regola d’arte”.
Ai primi di gennaio 2006 la S. Maria esce dal Cantiere Aprea diretta ad una zona di rimessaggio dove il suo Equipaggio provvederà alla fase di carteggiamento e verniciatura, nonché a tutti quei piccoli lavoretti per renderla esteticamente più gradevole.
Il lavoro viene organizzato per esser svolto il sabato pomeriggio e la domenica mattina, il tempo libero è, così, sacrificato per poter godere dell’imbarcazione durante i mesi estivi.
La prima attività è rappresentata dal carteggiamento della superficie della S. Maria, ma man mano che si progredisce nel lavoro balza alla mente una idea “malsana”, qualcuno mormora: “e se provassimo ad eliminare tutta la vernice bianca che ricopre la falchetta in mogano per constatare qual è la situazione del legno?”……...già, perché no? E così i primi giorni vengono passati ad applicare lo sverniciatore per eliminare più rapidamente lo strato di bianco e portare alla luce le venature proprie del legno.
Successivamente è la volta della fase di stuccatura, tutte le ferite procurate dal tempo, le piccole lesioni dovute all’incuria vengono curate e l’imbarcazione assume una colorazione a ”macchie di leopardo” caratteristica dovuta al contrasto tra stucco e prima mano di vernice dello scafo.
E così i lavori si protraggono per tutto l’inverno, anche perché il tempo non è, a volte, clemente con l’equipaggio, concedendo loro poche ore esenti da umidità.
Ma alla fine, il risultato ripagherà di tutti gli sforzi ed il varo verrà realizzato all'alba di un giorno primaverile con mare "forza olio".....
venerdì 13 luglio 2007
Inverno 2006
Svolte tutte le incombenze familiari alle 11 e quindici salgo sul motorino x andare a pesca, un freddo cane mi accompagna per tutti i
Le attese si susseguono, ma di spigole neanche l’ombra, l’ultimo tentativo, però, si rivela fruttuoso, infatti, mentre sono steso tra i bassi steli vedo in lontananza un movimento, comincio a strisciare tra le piante e improvvisamente si sollevano dal fondo 4 “paparelle” (corvine), prendo di mira la + grossa, ha una ferita sul dorso, non sarà facile avvicinarla, ma ci provo lo stesso: sono quasi a tiro, ancora un po’ e …….bammm…..incredibile, forse complice il freddo, ma il corvo non è riuscito a schivare l’asta, anche se lenta xchè l’arma non è quella da tiri di precisione. Si tratta di un pesce superiore al chilogrammo le altre si dileguano e non è il caso di cercarle, rientro facendo scorrere tutta la franata nel sottocosta, ma niente, oggi ho avuto una sola opportunità e mi è andata bene.
Non appena sono all’asciutto sono avvicinato da pescatori locali professionisti che mi dicono di aver pescato, in passato, anche 25 30kg di “paparelle” chissà com’è che adesso non se ne vedono +, già chissà come mai….ma questa non l’unica cosa che mi dicono, infatti, mi portano a vedere la borsa con gli indumenti e le scarpe di un pescasub che si è sentito male un mesetto fa e l’hanno portato via con l’ambulanza, mi chiedono di portargli il tutto se lo conosco, ma non ho notizie di nessun incidente in Costiera, così decido di lasciare tutto lì.
Ora non resta da fare altro che risalire, su gambe in spalla e via a fare le scale….alla prossima, sperando di dover fare una sosta in + durante la risalita a causa del peso della spigola….ciao ciao…
giovedì 12 luglio 2007
Una ricetta "veloce-veloce" - a cura di A. Terrecuso
A noi pescatori subacquei capita spesso di andare in vacanza e di catturare prelibate prede. Non avendo la possibilità di cucinarle secondo i dettami della cucina partenopea per mancanza di mezzi, di solito procedo con una preparazione “veloce- veloce” con l’ausilio di poche pentole, senza forno: prima di tutto bisogna catturare una cernia di almeno 2kg. In mancanza rivolgetevi alla pescheria più vicina e, se anche questa dovesse esserne sprovvista, andate al ristorante o mangiatevi il solito panino!?! Dopo averla squamata e ripulita dalle interiora, tagliate il sottopancia e la testa che userete per la preparazione di un gustoso ragù di pesce per condire un “ prelibato pacchero di Gragnano di semola di grano duro”. La restante parte della “ preda” sfilettatela porzionandola in tranci di quattro cm. di larghezza.
Preparazione del ragù:
soffriggete l’aglio per qualche minuto, aggiungete i pomodorini tagliati a metà . Dopo qualche minuto ponete nel sugo la testa ed il sottopancia della cernia, salate a piacimento. Quando il tutto sarà cotto, spinate il pesce e lasciatelo riposare nel sugo. A questo punto cuocete la pasta e conditela con il sugo aggiungendo il prezzemolo a crudo.
Preparazione dei tranci di cernia:
In una capiente padella disponete i tranci di cernia con olio, capperi, olive , prezzemolo e vino. Cuoceteli per 15 minuti a fuoco medio, con l’accortezza che per i primi 10 minuti la padella dovrà essere coperta e i successivi venga scoperta per permettere l’evaporazione dei liquidi in eccesso.
Aggiungete un po’ di succo di limone.
Buon appetito.
mercoledì 11 luglio 2007
L'aspetto metafisico della pesca in apnea - La prima pagina del numero di luglio 2007 del Giornalino del Mistral a cura di G. De Giorgi
“Ricordati che si può andare sott'acqua in due modi.”
Così dicendo, il vecchio pescatore Brisbè tirò fuori un pezzetto di corallo e lo gettò in mare; poi da una mezza noce di cocco fece colare del liquido zuccherino biancastro.
“Vedi “, continuò, “corallo e cocco adesso sono insieme nell'acqua, però il corallo resta corallo, mentre il latte di cocco ora è mare: quando vai sott'acqua non devi fare come il corallo, ma come il cocco. Quando ti immergi in apnea non devi contrapporti al mare, non dovete esserci tu, il tuo corpo, la tua pelle e il mare, ma ogni componente del tuo essere deve divenire tutt'uno con l'acqua.”
“Cosa ti piace fare?”
Capita sovente di sentirsi fare questa domanda, quando si conosce una persona o quando si parla con un amico. A me vengono in mente subito due attività. Poiché sulla prima spesso sorvolo per autocensura (è comunque una preferenza abbastanza comune tra gli uomini non ancora in andropausa), mi ritrovo a rispondere con la seconda: “Mi piace fare pesca subacquea in apnea”. “Pesca subacquea?” L’interlocutore a questo punto tipicamente alza il sopracciglio, mi guarda storto. Il corpo si allontana. Specie se l’interlocutore è di sesso femminile. Manco avessi confessato che mi piace andare in giro a sodomizzare la gente (citazione dal film “Full Monty”). Nella mente dell’interlocutore si materializza l’immagine del sottoscritto in costume e fuciletto carico, che avanza tra lo sguardo atterrito dei bagnanti su una spiaggia in pieno agosto e che, una volta immerso tra le gambe dei vacanzieri, spara a qualsiasi forma vivente che si aggira nei dintorni.
Se invece l’interlocutore è un altro pescasub, magari con la stessa esperienza, allora la reazione è opposta: gli occhi si illuminano e si comincia a parlare con complicità come se ci si conoscesse da anni o si fosse scoperto in quel momento che si sono fatte le elementari assieme. Chi è appassionato di questa disciplina sa che l’immagine del pescasub maggiormente diffusa nell’immaginario collettivo non corrisponde al vero. La pesca in apnea è una delle attività che più avvicinano al Mare e fanno capire quanto è bello ed immenso e quanto è importante rispettarlo. Effettuare una battuta di pesca in apnea significa, per chi è veramente appassionato, ritrovarsi soli in acqua, nell’assenza più completa di rumori che non siano quelli generati dal Mare. Magari entrare in acqua all’alba per godere di questi momenti. Per essere accolti in un’altra dimensione, lontanissima dalla realtà di tutti i giorni. Una dimensione in cui le parole routine, stress, rumore, riunione di condominio non hanno più significato. Generalmente si pensa che l’apnea implichi grande sforzo, e si associa l’azione di trattenere il respiro sott’acqua al disagio o al dolore. Ma in realtà basta un pò d’allenamento, che deve coinvolgere soprattutto l’aspetto mentale, ed un po’ di studio per scoprire che l’apnea può indurre benessere e rilassamento, muscolare e mentale. In apnea alcuni riescono a raggiungere una situazione di distacco emotivo e di pace che ha qualcosa di metafisico. Qualcosa di simile alla contemplazione o all’annichilimento. Uno stato raggiunto immergendosi in Mare, avvolti dall’acqua, come se fosse liquido amniotico. In apnea, senza sforzi, zavorrati in modo da avere un assetto neutro in acqua, sperimentiamo prima di poggiarci sul fondo una situazione di assenza di gravità, perché planiamo dolcemente nell’acqua. Un’esperienza che solo gli astronauti hanno provato. Un’emozione vicina a quella che prova, per pochi istanti, chi si lancia con un paracadute e si libra nell’aria o chi vola con un deltaplano. Scendendo verso il basso e poggiandoci sul fondo del Mare con delicatezza, come una foglia morta che si poggia con dolcezza sul terreno, perdiamo consapevolezza della nostra persona e diventiamo parte dell’elemento liquido. Dimentichiamo la nostra natura di esseri umani e non riusciamo ad avvertire il bisogno di respirare. Rimaniamo sul fondo in profondo silenzio, senza emettere bolle d’aria dall’erogatore come capita a chi si immerge con le bombole. Possiamo così perdere il nostro sguardo nel blu ed ammirare il Mare senza spaventare gli animali che lo popolano. Nascosti da una roccia o dall’ombra di uno scoglio, osserviamo i pesci che si muovono nel loro ambiente, senza accorgersi di una immobile figura estranea al loro mondo.
Vicino alle nostre coste possiamo in questo modo osservare scene che le persone che negli stessi punti fanno il bagno o snorkeling hanno visto solo nei documentari. Ad esempio, noi pescatori in apnea sappiamo che nei nostri mari, da qualche anno, ci sono i barracuda e li abbiamo visti e catturati frequentemente. Alcuni, come me, hanno visto pesci incredibili come i tonni a pochi metri dalla costa. O i calamari custodire le uova, o i branchi di cefali in riproduzione che si avvicinano a riva formando fiumi di centinaia di pesci. O i pesciolini terrorizzati che, con i pesci predatori nei dintorni, si compattano dando forma a nuvole vive e fittissime, dai mobili ma netti contorni, che si aprono esplodendo come un fuoco d’artificio quando il predatore porta il suo attacco fulmineo con la bocca spalancata. O i pesci pulitori che entrano ed escono dalla bocca e dalle branchie di pesci più grandi, che si fanno ripulire dai parassiti. O l’incredibile mimetismo di polpi e seppie ed il loro accoppiamento. O anche, come è successo ad altri, l’accoppiamento di un paio di ignari vacanzieri che si erano isolati sulla riva di una piccola cala…
Noi pescatori in apnea scegliamo, in certi casi, di rompere la magia dello spettacolo che il Mare ci offre, tirando un grilletto e facendo contrarre gli elastici di un fucile. Il fine ultimo della battuta di pesca è, infatti, la cattura di un pesce e questa avviene attraverso la sua morte. E’ una verità scomoda, ma è così. Scegliamo di catturare un pesce per mangiarlo: non uccidiamo un pesce per il gusto di farlo o per vendere il pescato e guadagnare denaro, spariamo solo ai pesci che poi mangeremo e spesso rinunciamo a catturare un pesce se è in fase riproduttiva o ha le uova. Con la cattura di un pesce raggiungiamo il massimo distacco dalla società moderna, sperimentiamo una profonda libertà. Catturiamo una preda di cui ci nutriremo, come facevano i nostri progenitori cacciatori, e soddisfiamo l’istinto ancestrale della caccia, ormai represso in una società basata sul successo e sul denaro. Sappiamo quale gusto ha un pesce che è vissuto libero nel Mare, e quanto questo sia diverso da quello di un pesce di allevamento, nutrito di chissà quali mangimi artificiali. Prelevando selettivamente poche prede mature non danneggiamo la fauna marina, come invece fa la pesca industriale, che con le reti ara il fondo e lo distrugge per poter offrire sul banco delle pescherie quei pesciolini che magari vengono comprati, per la zuppa, anche da chi ci critica.
Ecco perché improvvisamente immaginiamo il perplesso interlocutore di prima in fila pluri chilometrica per raggiungere il suo agognato metro quadro di spazio sulla spiaggia affollata, in pieno agosto, allo scopo di prendersi una scottatura tra bambini che lanciano sabbia, l’altoparlante dello stabilimento che spara musica ad alto volume ed i vicini di ombrellone rumorosi. Capiamo che lui non saprà mai cosa è veramente e cosa può offrire il Mare quando ci accoglie al suo interno. E che gli è sconosciuto il senso di selvaggia libertà che ci pervade. E, compatendolo, dovremmo rispondergli, con un sorriso stampato sulle labbra e guardandolo negli occhi:
“Sì. Io ho il privilegio di fare
pesca subacquea!”
Il GPS (Global Positioning System) - La prima pagina di Maggio 2007 del Giornalino del Mistral a cura di R. Mainolfi
Lo sviluppo del sistema NAVSTAR/GPS (Navigation System using Timing and Ranging/Global Positioning System) è iniziato a partire dal 1973, diviene operativo nel 1978, con il lancio del primo satellite GPS, lo NTS-2 (Navigation Technology Satellite).
A partire dal 1978, il lancio di nuovi satelliti è stato continuo. La prima serie di satelliti fu denominata 'Block I'. Costruiti dalla Rockwell International, furono lanciati un totale di 11 tra il 1978 ed il 1985 e costituiva la serie di sviluppo per il successivo lancio dei 24 satelliti 'Block II' e 'Block IIA', che costituiscono ormai l'intera costellazione attualmente in orbita.
Il giorno 17 Luglio 1995, le Forze Aeree USA hanno dichiarato il sistema completamente operativo, ciò significa che la costellazione di satelliti prevista è completa ed i satelliti sono tutti operativi.
Principi di Funzionamento
Il principio di funzionamento del GPS, illustrato in fig.1, è sostanzialmente semplice: si tratta di determinare la distanza dai tre satelliti la cui posizione nello spazio è nota con precisione, e mediante opportuni passaggi matematici, determinare la propria posizione.
Fig.1
Infatti, la distanza d1 dal primo satellite individua la posizione del ricevitore sulla superficie di una sfera R1 centrata sul satellite stesso. La determinazione della seconda distanza, d2, ci posiziona sul cerchio intersezione delle due sfere R1 ed R2. Infine, la terza distanza d3 ci permette di determinare due posizioni nell'intersezione del cerchio con la sfera R3 centrata sul terzo satellite fig.2. Delle due soluzioni viene considerata quella vicina alla superficie terrestre (e valevole anche per oggetti posti in orbite basse).
La posizione così ottenuta è una posizione relativa allo spazio individuato dai tre satelliti e riferita ad un sistema di coordinate denominato ECEF (Earth Centered, Earth Fixed). Per avere un riferimento di posizione più convenzionale, altitudine sul livello del mare e coordinate geografiche relative all'elissoide di riferimento ottimale per la zona del globo in cui ci si trova, il ricevitore dovrà effettuare opportune conversioni di coordinate.
Per determinare la distanza dai satelliti, sono state utilizzate tecniche già note al tempo, ed utilizzate in campo spaziale per determinare la distanza delle sonde spaziali, la tecnica utilizzata nel GPS la distanza viene determinata misurando lo scarto temporale mediante correlazione che intercorre tra la trasmissione di una sequenza di bit inviata dal veicolo e quella identica generata a Terra dal ricevitore fig.3.
Fig.3
Nasce però un problema per via del fatto che il sistema è basato sulla comparazione del codice trasmesso a terra dal satellite con quello generato a terra dal ricevitore. Per utilizzare tale sistema in maniera corretta è necessario sapere con precisione l'istante di tempo in cui il codice viene trasmesso e misurare l'istante d'arrivo del segnale al ricevitore mediante l'uso di orologi esattamente sincronizzati. Tale metodo richiede la presenza, sia a bordo del satellite, sia nel ricevitore, di due orologi atomici sincronizzati.
Un ricevitore GPS non può avere con se un orologio atomico, ed a questo scopo viene in aiuto l'algebra: se invece di tre equazioni in tre incognite (la nostra posizione) usiamo 4 equazioni (e quindi 4 satelliti), introducendo così una quarta incognita (il tempo), dal sistema così ottenuto ricaviamo 3 pseudo distanze ('pseudo-ranges'), e un quarto valore, che indica di quanto il nostro orologio, che ora può essere un semplice oscillatore quarzato, deriva rispetto a quello di riferimento mantenuto nello spazio.
Le misure di distanza dai satelliti vengono definite pseudo-distanze poiché affette dall'errore di misura dovuto alla imprecisione dell'orologio del ricevitore. Delle 4 soluzioni, 3 definiscono la posizione desiderata, mentre la 4 fornisce un'indicazione dell'errore compiuto dal nostro orologio.
Da tutto ciò si evince la necessità di poter ricevere almeno 4 satelliti per determinare correttamente la posizione del ricevitore nello spazio. A priori, conoscendo, per esempio, la propria altitudine, è anche possibile rinunciare alla visibilità di un quarto satellite (applicazioni navali), inserendo direttamente il valore noto nelle equazioni. I vantaggi di tale tecnica sono svariati. Il più importante è il fatto che permette a 21 satelliti di trasmettere contemporaneamente sulla stessa frequenza (semplificando il calcolo dei modelli di propagazione ionosferica) evitando i problemi di mutua interferenza.
Effemeridi
La precisione con cui si riesce a determinare un oggetto nello spazio in orbita terrestre è una delle tecniche che hanno permesso di realizzare con successo il sistema GPS.
L'orbita di ogni satellite della costellazione viene continuamente verificata da opportune stazioni di controllo. I parametri orbitali di tutti i satelliti vengono continuamente calcolati a Terra e inviati a bordo di ciascuno di essi in modo da poter essere trasmessi agli utenti con il messaggio di navigazione emesso con il segnale GPS.
Il ricevitore, mediante questi dati che sono presentati in una forma adatta ad una rapida soluzione, calcola la posizione stimata di ognuno dei satelliti utilizzati per calcolare la propria posizione.
Il modello matematico utilizzato è la miglior approssimazione dell'orbita reale con tutti i suoi effetti secondari, e descrive un breve segmento di essa permettendo, addirittura, una localizzazione del satellite precisa entro
Orbite
La configurazione orbitale per il sistema GPS, è stata scelta per fornire una copertura globale e continua su tutta la superficie terrestre, rendendo disponibili almeno 5 satelliti contemporaneamente visibili da qualunque parte del globo.
Il numero di satelliti che compongono la costellazione è 21, più 3 di riserva in orbita. I satelliti sono disposti su 6 piani orbitali, ciascuno contenente da
Tali scelte determinano un periodo orbitale di 12 ore: in tal modo, un satellite ripete la stessa traccia a terra una volta al giorno. Un'utente vede quindi il satellite percorrere sempre lo stesso percorso, ma lo vede sorgere con 4 minuti di anticipo ogni giorno, dovuto al fatto che il periodo orbitale è dato in tempo siderale, il quale è più corto del tempo solare di 4 minuti.
Controllo del sistema
Il sistema GPS prevede una serie di stazioni di terra con lo scopo di controllare lo stato operativo della costellazione, e di fornire, previa accurata determinazione della posizione del satellite nello spazio, le effemeridi che poi saranno utilizzate dagli utenti.
Il centro di controllo che presiede al governo del sistema (Master Control Station) è situato presso
Le stazioni secondarie controllano continuamente i satelliti in orbita, inviando poi i dati alla MCS in Colorado che provvede ad elaborare tali dati. Tra i compiti fondamentali della MCS vi sono l'aggiornamento giornaliero dell'almanacco, la correzione giornaliera del tempo GPS con quello UTC (secondo i dati forniti dall'osservatorio navale degli stati uniti) e l'elaborazione dei modelli di propagazione ionosferica. I dati così elaborati vengono ritrasmessi ai satelliti grazie alle antenne di up-link disponibili presso
Quando un nuovo satellite viene immesso in orbita, occorrono circa due settimane affinché esso diventi disponibile alla comunità di utenti GPS. Terminate le manovre di post-inserzione orbitale (circolarizzazione, dispiegamento dei pannelli solari, attivazione del sistema di stabilizzazione), viene attivato lo standard di riferimento primario, e ne viene controllata la deriva e la precisione.
RICEVITORE
Il sistema GPS nasce inizialmente con lo scopo di fornire un posizionamento entro 10 mt., mediante l'impiego di un lungo codice PRN denominato codice P (Precision).
Per facilitare la sincronizzazione del ricevitore, è stato previsto un codice secondario, utilizzante un codice PRN corto denominato C/A (Coarse/Acquisition).
Una volta agganciato tale codice e demodulato il segnale, dal messaggio di navigazione modulato nel codice si ricava la parola HOW (Hand-Over Word) che, ripetuta ogni 6 secondi, contiene le informazioni necessarie per agganciare il codice P. Tale parola è criptata, poiché l'uso del codice di precisione viene concesso solo ad utenti autorizzati dal Ministero della Difesa Statunitense.
Questo accesso può essere anche consentito ad utenti civili: infatti, in caso di emergenza nazionale, il codice P viene sostituito da un altro codice criptato (modalità Anti-Spoofing, o AS), detto codice Y il cui accesso è esclusivamente riservato ai militari. La tecnica AS serve anche per evitare che repliche del codice P create dal nemico possano alterare la precisione di eventuali dispositivi di navigazione. L'accesso al codice Y è possibile solo in un ricevitore opportunamente predisposto che deve essere abilitato con una apposita chiave AS 'software' trasportata da un ufficiale addetto su una cartuccia Eprom. Come ulteriore mezzo per rendere il sistema più impreciso al "nemico" che utilizzi solo il codice C/A, fu introdotta a partire dalla serie di satelliti 'Block II' una tecnica denominata SA (Selective Availability) e resa attiva a partire dal 1990 rimossa poi nel 2000, tecnica che rendeva il sistema ad un utilizzatore civile impreciso in un range di circa 100m.
Appena il ricevitore viene acceso, la prima operazione che compie è l'impostazione dei satelliti necessari alla navigazione. Almeno 4 satelliti devono essere disponibili per poter determinare con precisione la propria posizione. A tale scopo, il processore deve essere informato sulla posizione dei satelliti in funzione del tempo. Questa informazione è contenuta nell'almanacco dei satelliti.
L'almanacco è l'insieme di parametri orbitali dell'intera costellazione di satelliti, corredata di tutti i dati relativi allo "stato di salute" di ciascuno di essi. Ogni satellite trasmette continuamente l'almanacco relativo all'intera costellazione.
In genere, non è necessario che l'almanacco sia preciso, poiché ha una validità di alcuni mesi. Un ricevitore che quindi venga costantemente utilizzato può trattenere tali informazioni in una memoria non volatile, e sapere quindi in qualunque istante i satelliti in visibilità. Se invece il ricevitore non possiede un almanacco valido, o non lo possiede affatto, esso deve provvedere ad eseguire una "ricerca nel cielo" per agganciare un qualunque satellite. Il calcolo della posizione viene effettuato dalla misura dei 4 pseudo range dai satelliti corretti dai ritardi di propagazione ionosferica, effettuando il calcolo in base alla posizione nota dei satelliti nello spazio grazie alle effemeridi da essi trasmessi. Successivamente, il ricevitore converte queste coordinate in latitudine, longitudine, ed altitudine, usando un modello prestabilito per l'ellissoide terrestre. Allo stato attuale, il modello utilizzato è il WGS-84 (World Geodetic Survey 1984), ma i ricevitori attualmente in commercio sono in grado di utilizzare svariati riferimenti geodetici, in modo da utilizzare le normali carte geografiche in uso.
CONCLUSIONI
Notevole è l'unione delle diverse tecnologie utilizzate nell'ambito del sistema GPS, finalizzate ad un preciso obiettivo: dalle tecniche aerospaziali all'integrazione su vasta scala nei ricevitori. Ed è notevole, appunto, la derivazione di alcune di queste tecnologie da quelle sviluppate sin dai primi anni dell'astronautica, culminate con le prestigiose missioni interplanetarie a grande distanza e con il successo del programma Apollo.
Il GPS è diventato nei settori professionali quello che il telefono cellulare è diventato nel mondo civile. Estesosi in tutti i settori, ha permesso il fiorire di un'intera economia che non potrà non rafforzarsi con l'analogo sistema europeo denominato GALILEO.
Il numero delle aziende impegnate nel settore dei ricevitori e delle applicazioni del GPS è in continua crescita: la disponibilità di ricevitori a basso costo ha completamente rivoluzionato la navigazione, fino ad estendersi in settori non tradizionali, quali la geodesia, la cartografia, fino al tempo libero. Grazie al GPS, è possibile ora dotare di propri sistemi di navigazione non solo veicoli su strada, ma addirittura pedoni, con una risoluzione sufficiente a districarsi nei meandri di una grande città.
Munito di apposito ricevitore un qualsiasi utente, sia esso un individuo, veicolo terrestre, aereo o marittimo, oppure anche un veicolo spaziale in orbita bassa, ha sempre in visibilità un numero sufficiente di satelliti per il calcolo della propria posizione. Il ricevitore è completamente automatico e, una volta inizializzato, fornirà su 'display' o su porta seriale sia i dati grezzi di posizione che informazioni riferite ad un determinato sistema geodetico, l'altitudine ed anche velocità e direzione dell'utente. Praticamente tutti i ricevitori mettono in pratica funzioni di navigazione da punto a punto e consentono di memorizzare piani di rotta. Essi sono in grado di mostrare lo scostamento dell'utente dal percorso previsto, e così via. Persino i ricevitori più piccoli possono contenere un 'database' di informazioni geografiche come nel caso della vasta serie di ricevitori GPS realizzati per l'aviazione generale ed aggiornati con tutti i radiofari, aeroporti, aerovie, settori di intere regioni aeree.
Festa del papà 2007!
Mi stiracchio, sono le 5 del mattino, è ora, anche se è inverno ho la “buona” abitudine di andare a pesca all’alba, ma per lo meno mi concedo il rito della vestizione nelle calde mura domestiche. E’ una operazione che ormai svolgo con la consapevolezza di gesti mirati e collaudati: la muta, una
No dico, e ora? Sono le 5 e quindici, cosa faccio? Piango, bestemmio, me ne vado a letto? No non può essere, dopo tanti anni….calma…in cantina c’è un pantalone di riserva, preoccupiamoci di indossare la giacca e andiamo a completare la vestizione al freddo della cantina, ma a mare ci voglio andare!
Ore 5 e trenta: salgo in motorino e si parte alla volta della Costiera Amalfitana. Sono in acqua alle ore 6 e quindici si comincia con un po’ di agguato dalla superficie, hai visto mai…..ed infatti mentre sto guardando in lontananza un gruppetto di cefali, non mi accorgo di una spigola di circa un chilogrammo che sta passando sotto la mia postazione, non mi ha ancora visto, prendo la mira e…sbaammm…..mancata, proprio mentre premevo il grilletto un’onda mi ha spostato il braccio e il danno è fatto!
Continuo imperterrito, oggi proprio non voglio demordere, è vero ci sono giorni in cui tutto ti va storto e oggi è uno di quelli, ma proprio per questo insisto di più tanto, peggio di così, si può soltanto migliorare. Sono quasi alla fine della zona in cui è possibile dedicarsi all’agguato dalla superficie, quando vedo in lontananza una orata discreta, ma, nonostante tutti i tentativi esperiti con vari richiami, il pesciolino non ne vuole sapere, e così comincio ad attuare la tecnica dell’aspetto in basso fondale, non mi sposterò oltre la batimetria dei – 10.
Gironzolo tra piccoli agglomerati di roccia e posidonia, alla ricerca di qualche indizio che possa farmi
decidere se tentare o meno un appostamento, le discese e le risalite si susseguono con un nulla di fatto, tranne che per l’avvistamento di un corpulento sarago che non verrà mai a tiro. Improvvisamente, però, tutti i segnali di vita che sinora mi avevano accompagnato svaniscono come d’incanto, come se tutti si fossero rintanati….perchè? Mi sa che devo sbrigarmi, due, tre atti respiratori e sono giù nella speranza di successo. I secondi passano inesorabili e con le apnee corte che mi ritrovo sono già agli sgoccioli, quando dalla mia destra, in alto, la vedo comparire: è una spigola, non è enorme, ma nel forno ci starebbe a meraviglia..la mia copertura è ottimale, per cui la principessa si avvicina sempre più, oltrepassa il grosso scoglio e mi nota, si abbassa di qualche decimetro, ma proprio in quel momento va ad impattare contro la mia tahitiana, che sfortuna! Il pesce è fulminato, non mi resta che risalire e metterlo nel cavetto, poi l’azione di pesca continua per far fiato, proprio perché bisogna cominciare a preoccuparsi per l’estate, la spigola invece sarà messa a disposizione degli amici come al solito: spigola di
Tornato a casa le solite foto, ma stavolta i miei due gemellini mi concedono l’onore di posare con me, è una gioia immensa, un bellissimo regalo per la festa del papà!
La prima pagina del numero di Marzo 2007 del Giornalino del Mistral - a cura di G. Di Bisceglie
Ma se ci passano per la mente simili considerazioni, ma allora siamo sicuri di comprendere a fondo il significato di quel segnale? O peggio: non saremo forse un po' troppo schiavi della considerazione che quello costituisca solo un "obbligo" di legge?
Non c'è niente da fare...: ci sono cose che vanno accettate preliminarmente, senza discuterne, senza chiedersi il "perché". Si tratta di cose legate alla nostra sicurezza. ...Nonché il rispetto della legge: cosa che specie dalle nostre parti viene fin troppo facilmente etichettata come "stupidità", "dabbenagine"...: esse' fesso, 'nsomma!
Ma quando si tratta di una legge preposta alla sicurezza, mi spiegate come si fa a "essere fessi" osservandola? Non si è, semmai, "fessi" dando credito alle voci superficiali che invitano al classico, intramontabile "ma futteténne!..." Invece qui in ballo non c'è solo il rispetto di una norma. C'è ben altro: c'è la dignità di una bandiera. Perché quella striscia bianca in campo rosso è innegabilmente il nostro simbolo, riconoscibile in tutto il mondo. Ed essa più che ogni altra cosa racconta di noi e della nostra passione, nonché del fascino che il mare esercita sugli uomini. Quella boa che ci tiriamo dietro è il simbolo di una vera e propria cultura, non solo sportiva. E ha una utilità che va ben oltre la norma di sicurezza che ne sancisce la obbligatorietà.
Infatti, la boa segna-sub serve a:
- segnalare la nostra presenza alle barche;
- depositarvi gli accessori da pesca che potrebbero servirci (un secondo fucile, il portapesci, la torcia, o anche un piombo che risultasse di troppo, ecc.);
- depositarvi acqua o liquidi da bere (voce a parte, perché seppure un accessorio potremmo tranquillamente scegliere di non portarlo, invece l'acqua sarebbe sempre bene averla con sé: cosa impossibile senza la boa appresso);
- depositarvi il pescato, o quanto dovessimo trovare da portare a riva (anche rifiuti pericolosi come piccole batterie, nel caso dei più volenterosi);
- costituire un utile appoggio in caso di stanchezza, anche psicologicamente intesa;
- costituire un appoggio finanche vitale in caso di malore (non pensate ai casi estremi, ma considerate quelli più banali ma tuttavia capaci di farci trovare in serie difficoltà: come congestione, giramenti di testa, ecc.);
- costituire un utilissimo appoggio psicologico (questa volta inteso come "presidio", visto che ci troviamo comunque in un ambiente assolutamente "estraneo");
- costituire il nostro "correntometro" e "anemoscopio" (ebbene sì! Una cosa a cui non si pensa mai, ma che tuttavia costituisce un utilizzo che un po' tutti effettivamente facciamo della boa, studiandone la posizione rispetto a noi: ovvero indicatore delle correnti marine e del vento!);
- costituire un punto di appoggio per poter richiamare l'attenzione (in caso di difficoltà o comunque nel bisogno di aiuto, la boa ci pertette di ergerci fuori dell'acqua, e ci rende maggiormente evidenti col suo colore acceso);
- costituire un segnale per farci trovare da chi dovesse cercarci (come un nostro compagno di pesca, o qualcuno che dovesse preoccuparsi per noi);
- evidenziare la nostra presenza ad altri sub in zona (anche questo è un utilizzo non sempre considerato, eppure di vitale importanza: quando arriviamo nell'area di attività di un altro pescatore subacqueo, ce ne accorgiamo proprio grazie alla sua boa segnasub. E questo ci consente di individuarlo e quindi farci notare a nostra volta. Il fine è di non mettersi in un condizione di pericolo, in quanto, specie con l'acqua torbida, potrebbe benissimo capitare di rientrare nella sua... azione di pesca!).
E infine, un ultimo, ma importantissimo motivo:
- l'esempio. L'esempio funziona come la cintura di sicurezza in auto: che tutti si fermano solo a considerare quanto sia scomoda, se non del tutto inutile, epperò se tutti la mettiamo, prima o poi "lo sfigato di turno" tra noi, ci si salverà le penne! E quindi, portarci dietro la boa può servire anche a salvare la vita a qualcun altro, forse prima che a noi stessi.
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Se vi sembra che in questo articolo si vada sottovalutando l'importanza dell'utilizzo "statutario" della boa segna-sub, ovvero quello preposto alla segnalazione ai natanti dell'uomo in immersione, è perché qui preferiamo rivolgerci a chi, della nostra categoria, troppo spesso non vede di buon occhio questo "ingombrante accessorio".
Tuttavia ci sono ben altre campagne fatte per sensibilizzare i diportisti nautici sul significato della nostra "compagna d'avventure", e una di queste, denominata "CAMPAGNA SICUREZZA BOE SEGNA-SUB", viene attualmente portata avanti su tutto il territorio nazionale da volontari che stanno collocando nei punti di maggiore visibilità, rispetto al pubblico degli usufluitori dei natanti, un grande logo autadesivo che si presenta come un classico "segnale di pericolo": ciò per metterli a conoscenza del fatto che il mancato rispetto delle distanze di sicurezza da tale segnale, non solo va contro i normali e logici criteri di sicurezza, ma costituisce anche una importante infrazione. Tutto questo perché ci si è resi conto della grande ignoranza che vige a riguardo, sia tra i diportisti di "piccolo capottaggio", che persino tra i patentati nautici. E quindi tocca a noi stessi, appassionati della pesca subacquea, di cercare di risolvere in qualche modo la situazione.
Gennaro Di Bisceglie
A pesca a Maratea!
Purtroppo, però, questa volta da predatore è divenuto preda, e nelle prossime ore diverrà ospite gradito dei miei commensali.
Dopo questa breve introduzione dettata da un senso di trionfalismo, misto ad un appagamento venatorio che solo “lui” sa dare, veniamo al racconto vero e proprio:
Di cosa parleranno i pescasub durante i trasferimenti? Mah non so….donne….viaggi…..auto…..può darsi, ma sicuramente di catture più o meno reali, più o meno emozionanti e di attrezzature, insomma non ci si annoia e soprattutto non si dorme….sigh!
Arriviamo in loco alle 8, precisi come un orologio svizzero ma con accento napoletano, il panorama è splendido, già questa visione basta a far dimenticare la levataccia, scaricate le attrezzature siamo tutti in spiaggia e cominciamo a vestirci.
Ci sono dei ritardatari e dopo averli attesi per una mezz’oretta decidiamo di partire, e proprio in quel momento fanno il loro arrivo sulla spiaggia chi mancava: si parte!
Detto fatto comincia la pesca, la tecnica prescelta varia tra planate esplorative a mezz’acqua dove la visibilità permette la vista del fondo ed agguati silenziosi dove la morfologia permette di occultarsi con facilità alla linea laterale dei pesci. Così passa la prima ora, con radi avvistamenti di cernie alessandrine di qualche etto ed un bel sarago che però sarà molto bravo ad eludere il mio tentativo di cattura. Giunto alla secca mi soffermo nei primi canaloni, sono il luogo ideale per portare degli agguati, ma purtroppo i primi due non sortiscono nessun risultato, a meno che non voglia sparare alle mennole…., ma nel terzo noto che la minutaglia ha degli ondeggiamenti e la cosa che attira la mia attenzione è il fatto che ad ondeggiare non sia soltanto il branchetto di castagnole, ma anche dei saraghi fasciati e maggiori, per cui la minaccia non è rappresentata dalle occhiate ma da qualcosa di più grosso. Risalgo. Ho intenzione di ripetere l’agguato nello stesso posto, mi rilasso, ventilo con tranquillità e poi giù di nuovo, la situazione è quella di una apparente calma, continuo tirandomi con la mano sinistra e strusciando tra gli steli di posidonia, nel frattempo mantengo la copertura a sinistra utilizzando la parete più grossa, siamo alla fine del percorso, una leggera curvatura a sinistra e poi sarò completamente scoperto e l’agguato sarà terminato, ma è proprio in quel frangente che noto sulla posidonia davanti all’uscita del canalone tre bei dentici, mi fermo e…..aspetto…..pochi secondi il primo mi sente e fa per avvicinarsi, ma fatti i primi metri si ricorda di essere in poca acqua e lontano probabilmente dal suo areale di caccia, così rallenta e fa per girarsi………non ci riuscirà mai……..
Cronaca di un rientro.
Siamo alla fine del mese di aprile 2003 ed è ormai quasi un mese che non entro in acqua, la sfortuna si è accanita contro di me ed a causa di un influenza e di vari acciacchi non sono riuscito a bagnare le pinne.
Comunque oggi il tempo è davvero buono e soprattutto la temperatura è aumentata sensibilmente, tutto ciò mi obbliga a progettare una battuta di pesca per l'indomani che prevederà la prima alzataccia dell'anno: la sveglia suonerà alle ore 5:00!
La radio si accende puntualmente, non mi resta che alzarmi in fretta. L'attrezzatura, come al solito, è pronta per cui dopo una frugale colazione sono già in moto diretto verso un punto al di fuori del parco marino (chissà, forse un giorno mi sveglierò ed anche casa mia si troverà in uno di questi pseudo parchi!); durante il tragitto che mi separa dal punto in cui mi immergero, dopo circa 400 scalini che mi toccherà rifare con la zavorra invernale sulle spalle, ripenso alle notizie raccolte in questi ultimi giorni tra coloro che hanno la mia stessa passione: "non si vede una coda nemmeno a pagarla", comunque ormai siamo in ballo.
Giunto sul posto, dopo una rapida vestizione che stavolta non mi fa soffrire a causa di temperature polari, sono in acqua. La situazione sembra abbastanza buona, come accade in questo periodo l'acqua ha un colore predominante tendente al verde, che generalmente puo portare a delle gradite sorprese. La battuta viene iniziata effettuando degli agguati sulle lingue di roccia che cadono verso fondali profondi, i saraghi, però non collaborano. Dopo una mezz'ora sono giunto presso una zona più profonda, è il caso di cominciare a cimentarsi con gli aspetti: il primo sembra non portare a nulla, ma improvvisamente vedo un luccichio: è una palamita di circa sei chili, ma non c'è niente da fare, risalgo. Al tentativo successivo non noto niente se non un aluzzo intorno al chilo e mezzo di peso, inoltre gli aspetti intorno ai venti metri non sono il mio forte in questo periodo per cui decido di fare un ultimo tentativo. Questa volta vedo in lontananza un branco di ricciole sul chilo ma cosi come le ho viste spariscono nel torbido.
Non c'è niente da dire il pesce c'è, ma come si prende? Visto che non sono capace decido di cambiare zona e mi dirigo verso un posto in cui solitamente si possono incontrare della corvine, si tratta di una zona ricoperta di posidonia, dove con una tecnica a metà tra aspetto e agguato si possono ottenere dei buoni risultati. Riesco con due tentativi a portare a pagliolo due bei corvi rispettivamente di 1,2 e